Il presente articolo rappresenta un approfondimento completo di link (segnalati in oro) degli argomenti trattati nel webinar sul tema degli interventi psicologici e rieducativi in carcere, tenutosi il 12 maggio 2020.
Dalle domande e commenti dei partecipanti sorgono dei nuclei tematici di seguito approfonditi, ovvero:
1. Ruolo di educatore e psicologo
2. Lo psicologo ex art. 80 op
3. Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa ex art. 17 op
4. Routine della vita in carcere/cella
RUOLO DI EDUCATORE E PSICOLOGO
- Domanda: Qual è il ruolo tra educatore e psicologo in un carcere? o meglio, quando educatore e psicologo lavorano insieme? (N.)
Commento: L’importanza è il lavoro di rete e di squadra attorno alla persona detenuta (P., Educatrice penitenziaria)
Gli interventi svolti a favore dei detenuti devono essere integrati tra di loro, e i professionisti coinvolti dovrebbero il più possibile restare in rete. Partecipano tutti gli operatori penitenziari, operatori professionali e di volontariato (art. 4 RE).
Quali professionisti?
Con riferimento agli articoli 27, 28 e 29 RE, per l’osservazione della personalità e l ‘individuazione del trattamento, sotto segreteria tecnica dell’educatore che tiene le fila, sono coinvolte diverse figure, quali personale dipendente dall’amministrazione e, secondo le occorrenze, anche dai professionisti ex art.80 OP (professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti). Questi professionisti lavorano in équipe, detta équipe di osservazione.
C’è anche il Gruppo Osservazione e Trattamento, definito dalla circolare 9 ottobre 2003 sulle Aree educative, ovvero un “gruppo allargato” di cui fanno parte i componenti dell’équipe, e tutti coloro che a vario titolo interagiscono con il detenuto o che collaborano al trattamento dello stesso (personale di polizia penitenziaria, insegnanti, volontari, ecc.).
Sulla carta è stupendo, ma purtroppo non è così semplice:
Commento: Purtroppo il monte ore è talmente riduttivo da non permettere di fare un lavoro a 360 gradi (F., Psicologa ex art 80)
Commento: Anche gli educatori sono pochi rispetto a quelli che ci dovrebbero essere, infatti purtroppo molti detenuti incontrano molto poco gli educatori (M.)
In fatti, il numero dei professionisti ex art 80 OP “è tuttavia contenuto rispetto alle esigenze a motivo – com’è noto – dei limiti del capitolo di spesa competente” (Circolare 9 ottobre 2003 – Le aree educative degli Istituti, Prot. n. 3593/6043).
Non solo loro, ma è noto che il numero di educatori (funzionari giuridico pedagogici), così come anche i numeri della Polizia Penitenziaria per quanto riguarda la sicurezza, è inferiore al personale previsto. Questo chiaramente incide sul percorso di trattamento, sulla qualità dell’osservazione e sull’effettiva possibilità dei detenuti a partecipare alle attività rieducative (tra le quali scuola e lavoro).
Per ulteriori racconti di difficoltà e “scollamento” tra norma e attuazione rimando alle testimonianze dell’osservatorio Antigone.
Commento: Purtroppo il lavoro intramurario è molto poco. i detenuti vorrebbero lavorare ma hanno poche occasioni. forse stiamo dando un messaggio non troppo corretto (M.)
In questo senso, mi rendo conto di non aver dato il giusto spazio alle criticità, e mi trovo concorde con il suo puntuale commento. Sono criticità che ascolto e tocco con mano dal 2013 (mio primo ingresso in Istituto ex art 17 OP). Nel mio limitato spacco di realtà vedo detenuti che vogliono lavorare ma che non hanno possibilità, e all’opposto momenti in cui c’è richiesta di lavoro ma mancano detenuti che possano rispondere al profilo richiesto (meno spesso, ma capita).
- Domanda: Lo psicologo ex art.80 è assunto dal carcere a titolo di collaborazione privata o per concorso? (L.)
L’art. 80 OP recita: (…) Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate.
Gli esperti ex art. 80 (psicologi compresi) sono iscritti in un elenco dal quale l’amministrazione penitenziaria attinge per contattare le figure di cui ha bisogno. Gli psicologi ex art. 80 devono quindi avere una partita iva, non sono dipendenti. Per iscriversi nell’elenco dei professionisti è necessario avere il titolo richiesto (ad es. psicologo), sottoporre il curriculum per una valutazione degli altri titoli posseduti (specializzazione in psicoterapia, esperienze di tirocinio, master pertinenti, pubblicazioni…) e devono risultare idonei a svolgere l’attività nello specifico settore, accertata non solo dalla valutazione del curriculum ma anche da un colloquio. Gli elenchi hanno durata quadriennale, quindi ogni quattro anni si presenta per i professionisti interessati la possibilità di concorrere come esperto ex art. 80 OP.
Anche se non determinante dal punto di vista della valutazione dei titoli, trovo importantissimo conoscere l’ambiente penitenziario studiando le norme e vivendolo anche attraverso esperienze di volontariato.
- Domanda: Sebbene secondo l’art. 80 non sia prevista una terapia, è importante secondo te avere una formazione come psicoterapeuta? (F.)
A mio avviso la formazione da psicoterapeuta può essere utile, non solo perché valutato positivamente nel posizionamento dell’elenco di esperti, ma anche perché può aiutare il professionista ad avere delle lenti attraverso le quali poter svolgere al meglio l’attività di osservazione (oltre a cogliere e rispondere anche al disagio che spesso emerge dal detenuto, sebbene non richiesto dal mandato).
Commento: Purtroppo il disagio psicologico è presente e nonostante il mandato non ce lo chieda, noi facciamo anche quello, io sono una psicologa penitenziaria ma purtroppo il monte ore è talmente riduttivo da non permettere di fare un lavoro a 360 gradi (F., Psicologa ex art 80)
- Domanda: Quindi chi si occupa dell’aspetto terapeutico? (S.)
Commento: effettivamente il mandato dell’esperto ex art.80 non è psicoterapeutico. ultimamente per chi ha strumenti e voglia si può, come GOT, elaborare un programma di trattamento per andare alla Asl esterna in permesso premio, ad esempio (P., Educatrice)
Un’esperienza simile c’è stata a Treviso: nella Casa Circondariale di Treviso ho il piacere di partecipare a un progetto che ha come finalità la prevenzione della violenza nelle relazioni (in particolare relazioni affettive). Tale progetto vede la collaborazione dell’Istituto, dell’ULSS2 e del centro studi e ricerche SCRIVI. È capitato che alcuni, avendo concluso positivamente il percorso, lo abbiano poi proseguito all’esterno (utilizzando il permesso premio) con la cooperativa Una Casa per l’Uomo, che si occupa in modo specifico di uomini che agiscono violenza in famiglia (per approfondire lascio il link dell’intervento della psicologa dott.ssa Nicoletta Regonati, dal minuto 45.00. Per me questo è un esempio virtuoso anche di collaborazione tra realtà diverse, che spero possa riprendere presto.
Anche il lavoro della collega dott.ssa Eleonora Frassoni e del Centro Ares nella realtà di Vicenza è interessante.
- Domanda: Quando parli di curare “la persona nel reato” e non nei suoi disagi psicologici, intendi che si cerca di “curare” il singolo problema per evitare una recidiva, senza andare troppo a fondo nella terapia? (L.)
In parte sì. Mi spiego meglio riportando la citazione dalla quale ero partita: «Lo psicologo ex art. 80 è una figura chiamata ad esprimersi sulla “persona nel reato”, più che sulla “persona nel suo disagio psicologico». Intendo dire quindi non tanto curare né fare terapia con la persona detenuta, ma osservare, approfondire e accertare «i bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all’instaurazione di una normale vita [e accompagnare il detenuto condannato a] una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa» (art. 27 R.E.)
Riporto per approfondimento l’intervento integrale della dott.ssa Antonia Sergi dalla quale ho tratto la citazione iniziale, e che spiega nel dettaglio il mandato e gli “spazi di manovra” dello psicologo penitenziario.
PARTECIPAZIONE DELLA COMUNITÀ ESTERNA ALL’AZIONE RIEDUCATIVA EX ART 17
- Domanda: Buonasera, vorrei capire meglio come funziona l’art 17. lo psicologo può partecipare all’attività rieducativa come “persona della comunità esterna”, ma quindi è sempre un volontario? oppure può lavorare da libero professionista, quindi retribuito? (G.)
- Domanda: Quindi in carcere essenzialmente si “lavora” solo come volontari oppure se si fa parte di cooperative che hanno progetti attivi in carcere? (E.)
Secondo l’art. 17 OP, la finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa. Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. Le persone indicate nel comma precedente operano sotto il controllo del direttore.
Io sono psicologa, e dal 2013 entro nella Casa Circondariale di Treviso ex art. 17. In quanto persona ex art. 17 non ricevo retribuzione dall’Amministrazione Penitenziaria, dunque io e gli altri art. 17 non incidiamo sul bilancio. Di fatto, quando entro con organizzazioni di volontariato (in particolare La Chioma di Berenice) entro come volontaria, quindi non retribuita, come tutte le volontarie dell’associazione. Da qualche tempo ho iniziato a collaborare con la Cooperativa Alternativa Ambiente su progettualità specifiche rivolte anche alla popolazione detenuta e finanziate esternamente, dunque a quei progetti presto la mia attività retribuita. In generale, uno psicologo dipendente o collaboratore come libero professionista di una cooperativa sociale, di una ONLUS, o altri enti del terzo settore, lavora fuori e dentro il carcere retribuito dall’ente del quale è dipendente o con cui collabora. Lo scenario più frequente, sempre in generale, è che un ente del terzo settore (o un partenariato) proponga progetti a fondazioni private o partecipi a bandi regionali, nazionali ed europei. Qualora vinca il bando, quell’ente attuerà il progetto retribuendo i professionisti previsti. Nello specifico, qualora il progetto in questione si svolga in carcere, il professionista (ad esempio lo psicologo) svolgerà la sua prestazione ricevendo il compenso, ed entrerà in Istituto ex art. 17 OP.
Commento: I volontari non sono mai pagati (M.)
Esattamente, i volontari non sono mai pagati (in particolare gli assistenti volontari ex art. 78 OP), così come quelle persone che entrano ex art. 17 OP come volontari dell’ente del terzo settore con cui prestano attività. Se invece sono dipendenti o collaboratori di quell’ente, entrano retribuiti, ma a quel punto non prestano servizio di volontariato).
- Domanda: in che modo stabilisce e potenzia la relazione di fiducia con il detenuto e che consigli darebbe ai volontari art 17 che si relazionano con i detenuti? (A.)
Commento: Da ex psicologa penitenziaria condivido il pensiero e il consiglio della dottoressa di pensare anche alle esigenze del istituto. E credo che un altro importante consiglio sia quello di spogliarsi delle idee che abbiamo all’esterno e cercare di ascoltare e guardare con altri occhi questo nuovo mondo quale è il carcere che è costituito dalle persone più variegate e al cui interno esistono regole precise (C., ex-Psicologa ex art 80)
A mio avviso un approccio di ascolto e di sospensione del giudizio è un primo importante passo nella direzione della costruzione di un rapporto di fiducia con una persona detenuta. Dico costruzione perché è un processo che va nella direzione di una fiducia e rispetto reciproco, non solo dalla persona esterna al detenuto, ma anche dal detenuto alla persona esterna.
Mi spiego con un esempio: un volontario può entrare in carcere perché curioso di conoscere un detenuto in quanto detenuto (ed è comprensibile, non nascondo che ho iniziato così nel 2013). Questa curiosità viene percepita, e può essere di ostacolo nella relazione finché il volontario non inizia a conoscere i detenuti come persone detenute, ovvero a conoscere Mario Rossi in quanto Mario Rossi figlio, padre, persona in difficoltà col lavoro o con i compagni di cella, o persona che può essere aiutata dal volontario nell’ambito di quel progetto… e non più Mario Rossi condannato per tentato omicidio. Allo stesso modo e nell’altro verso, il detenuto Mario Rossi potrebbe inizialmente vedere il volontario come persona che può aiutarlo a rispondere a tutti i suoi problemi, talvolta anche consapevole che quello che gli sta chiedendo infrange il regolamento, o va oltre la possibilità del volontario. Anche questo è di ostacolo alla costruzione di una relazione reciproca di fiducia (e non solo questo).
Dunque la relazione va costruita insieme, e una buona conoscenza delle regole e norme penitenziarie aiuta a porre le fondamenta di un rapporto di fiducia.
ROUTINE DELLA VITA IN CARCERE/CELLA
Alcune domande avevano come focus questo tema. Mi ci vorrebbe una giornata per parlare di questo argomento e delle attività che svolgo in sezione. In generale posso dire che i ritmi della quotidianità (apertura e chiusura delle celle, orari delle attività scolastiche ecc) sono stabiliti dai singoli regolamenti d’Istituto e variano da carcere a carcere.
Alle domande sull’abbigliamento dei detenuti (si vestono normalmente), sulle possibilità di socializzazione (possono svolgere insieme attività fisica, letture, talvolta giochi di società…), sull’organizzazione tra compagni di cella (possono cucinare insieme cibo acquistato usando fornelletti da campeggio), rapporti con le famiglie… rispondo rimandando un po’ noiosamente al DPR 230 del 30 giugno 2000 in cui vi assicuro che è esplicitato tutto, almeno in linea generale.
Per materiale esperienziale rimando ai contributi dei detenuti della redazione Ristretti Orizzonti, in cui raccontano anche la vita detentiva dando voce ai loro vissuti e, sempre nell’ambito della Casa di Reclusione di Padova, al documentario dal titolo Tutto il mondo fuori, trasmesso ieri sera sul canale9.
Per visionare i reportage proiettati durante il webinar rimando ai link: https://www.youtube.com/watch?v=gmQJCsH0uGA e https://www.veneziaradiotv.it/blog/funziona-un-carcere-parla-dott-francesco-massimo/
Dott.ssa Sara Vianello, psicologa e criminologa